È successo tutto per caso. Qualche estate fa eravamo sulla Statale Garganica (SS 89) in direzione Mattinata. All’altezza dell’ultimo incrocio prima della galleria il severo occhio rosso del semaforo segnala la chiusura della stessa.
C’è traffico, un caldo infernale e l'obbligo di svoltare a sinistra manda in frantumi il nostro impellente desiderio di refrigerio nelle acque blu appena oltre la galleria. Come non detto, l'Adriatico può attendere. Al solo pensiero dei tornanti che dobbiamo affrontare ci viene il mal di pancia. Intanto abbiamo svoltato a sinistra per fare il percorso alternativo. Stiamo ancora rimuginando quando chi guida l’auto rallenta e infila una rientranza sulla destra. L'autista ferma la macchina, tira il freno a mano e ordina di scendere. Quella inaspettata libertà per muscoli e articolazioni ci fa trovare fuori prima ancora di chiedergli il perché.
<< Vi faccio vedere una cosa >>, chiosa comunque lui.
Ci addentriamo nel tratturo che si stende sotto i nostri piedi. Incrociamo una coppia di anziani turisti stranieri. Tedeschi, probabilmente. Cappelli di paglia e scarpe da trekking, parlano tra loro spostando gli indici a destra e sinistra sulla mappa che hanno tra le mani. A stento ci rivolgono un cenno di saluto. Quale improbabile tesoro cercano da queste parti? Il tempo di fare un altro po’ di strada e troviamo la risposta: un inestimabile sito archeologico a cielo aperto. Nessuno di noi, eccetto l'autista, ne aveva la benché minima conoscenza.
Realizziamo di conoscere “casa nostra” meno dei tedeschi, benché la Germania disti diversi chilometri dal Gargano. Vergogna assoluta. In quel momento sento tutto il peso della parola ignoranza.
Siamo sul crinale di Monte Saraceno, già Monte Matino, un promontorio a picco sul mare. Alle nostre spalle Mattinata, adagiata sulle colline su cui si erge il Monte Sacro, è una cartolina di case bianche che spiccano sul verde ormai esausto della vegetazione. Di fronte a noi il mare aperto. Tra i nostri piedi, in qualunque direzione, una miriade di tombe nel terreno.
<< Ne sono state censite circa 500. Un numero elevatissimo. La Necropoli Dauna è qualcosa di eccezionale >>, ci illumina Giovanni.
La necropoli di Monte Saraceno è la più significativa testimonianza dei Dauni sul Gargano. Giunti dalla vicina Illiria tra VIII e VII secolo a. C., i Dauni sono definiti dagli studiosi come una civiltà pacifica, dedita all'agricoltura, alla caccia e alla pesca. Le tombe sono incavate nella roccia calcarea a forma di utero. Ospitavano la salma rannicchiata, secondo i riti dei popoli euroasiatici. Oggi si mostrano come cavità scoperte, ma i reperti ci parlano di segnacoli in pietra a forma di teste, steli, scudi o falli che – a ridosso delle coperture - narravano le virtù dei trapassati. Celebre la Stele Dauna della Farmacia Sansone di Mattinata.
Quello in cui siamo immersi è uno spettacolo ancestrale che toglie il fiato. Nessuno proferisce più una parola. Ci muoviamo in religioso silenzio su quella che fino a un attimo prima pensavamo fosse la nostra terra. Scopriamo invece che molti altri uomini prima di noi e in tempi assai più remoti ne hanno abitato le alture, disceso e risalito le valli per le ragioni più varie, costruito ripari per i vivi e tombe per i morti. Molti altri prima di noi hanno guardato con lo stesso incanto quel mare azzurro fino all'orizzonte e, da quello stesso mare, hanno tratto per secoli sostentamento.
Quando ritorniamo in auto non abbiamo più solo voglia di andare al mare, ma di conoscerlo, di capirlo, se possibile. Scollinato Monte Saraceno, quel giorno decidiamo di non fermarci. Imbocchiamo la litoranea tracciata dalla SP 53. Superiamo Mattinata, Mattinatella, e ci fermiamo solo oltre Baia delle Zagare.
Calchiamo il sentiero Baia dei Mergoli – Vignanotica con foga. Il traguardo è una spiaggia così evocativa da esser stata scelta dalla produzione cinematografica del recentissimo “Wonder Woman” per alcune scene del film. I Faraglioni di Puglia, già sullo sfondo della prima grafica pubblicitaria della pellicola diretta da Patty Jenkins, presidiano la costa. Giungiamo così a Vignanotica dove facciamo un bagno in un'acqua verde smeraldo meravigliosa.
Ma non ci accontentiamo più. Recuperiamo l'auto e riprendiamo la via. Nei pressi di Santa Tecla, lasciamo momentaneamente la SP 53 e ci immergiamo ulteriormente nella natura sulla strada (SP 54) che entra a destra verso Pugnochiuso per vedere Cala la Pergola e poi Cala e Torre di Portogreco, Torre dell'Aglio.
Superato Pugnochiuso, rientriamo sulla 53 ed è la volta di Baia di Campi e Baia San Felice, annunciata dal suo celebre “architello” di roccia. Poi lo Scoglio di Porto Nuovo. Infine Vieste, distesa come una giovane donna a prendere il sole sugli scogli, là in fondo. Il Faraglione Pizzomunno come un gigantesco ombrellone chiuso si erge ai suoi piedi.
Un caleidoscopio di luci, colori, immagini che non riempie solo gli occhi. Superata anche Vieste, si fanno sempre più frequenti i trabucchi, antichi strumenti di pesca escogitati dall'uomo per fuggire il mare tempestoso e prevenire le incursioni saracene. Realizzati interamente in legno di Pino d'Aleppo, tipico del posto, sono costituiti da una piattaforma sorretta da tronchi, che dalla terra si protrae sul mare. Sospesi nell'aria, si allungano sull'acqua due lunghi bracci, le “antenne”, ai quali è fissata un'enorme rete a maglie strette, il “trabocchetto”. La rete si manovra per mezzo di argani che all'occorrenza devono esser ruotati in un senso o nell'altro. La funzionalità del trabucco implica quindi il lavoro di più braccia. Non di rado i turisti più curiosi e intraprendenti aiutano i pescatori, rendendosi fieri protagonisti della pesca da questa straordinaria barca che solca le rocce.
Alcuni sono stati adibiti a ristoranti. Uno di quelli più conosciuti è il Trabucco da Mimì (www.altrabucco.it). Per arrivarci dobbiamo superare la Baia di Manaccora con la sua Grotta degli Dei, poi Spiaggia Zaiana e Baia San Nicola. Siamo alle porte di Peschici. Di proprietà della famiglia Ottaviano da cinque generazioni, il trabucco di Mimì ha preso ad affiancare alla pesca l'attività di ristorazione negli anni '70. Mimì incantava i turisti con i trucchi della pesca, sua moglie Lucia preparava deliziose ricette col pesce appena pescato. Oggi sono i nipoti Domenico e Vincenzo a portare avanti la tradizione con impegno e passione.
La giornata volge al termine nel migliore dei modi. Da qui si gode un tramonto senza eguali. Il sole si scioglie nel mare. Al Trabucco da Mimì si viene anche per questo. La geografia della costa non concede questo privilegio a tutti. E anche l’ultima volta che ci sono tornato non ho potuto fare a meno di ricordare quella volta che scoprimmo tanto Gargano per caso.
È stato l’anno scorso. Bisogna ritornarci. Prima di far ritorno a casa ho degustato le seppioline alla griglia farcite con verza stufata al miele d’agrumi del Gargano e pinoli tostati di Domenico e una birra artigianale. L’etichetta dai tratti fiabeschi (opera dell'illustratore cerignolano Lorenzo Tomacelli) non si dimentica facilmente. Parla di una birra che nasce nel 2015 proprio da una collaborazione tra Vincenzo Ottaviano del Trabucco e Michele Solimando, mastro birraio della foggiana Ebers Beer (www.birraebers.com). Due giovani garganici (Solimando è originario di San Marco in Lamis) che credono nel valore delle cose fatte con cura, nelle potenzialità del proprio territorio e nelle sinergie che si possono innescare.
La Bianca del Gargano è una birra stagionale, di frumento (grano duro Senatore Cappelli della Daunia), prodotta in tiratura limitata con scorza e fiori d'arancia I.G.P. del Gargano. Si presenta di colore biondo opalescente e con un accattivante profumo di agrumi. Perfetta per l'estate. Non c'è modo migliore per concludere la giornata. Non c'è brindisi più adatto per inaugurare una nuova stagione di turismo consapevole e responsabile sul Gargano.
A cura di Toni Augello