IN CASO DI AFA: UMBRA, LA FORESTA DEL GARGANO

La Foresta Umbra è il polmone del Parco Nazionale del Gargano. Una foresta millenaria il cui nome, che deriva dal latino, annuncia una vegetazione tanto rigogliosa da far passare a malapena i raggi del sole. Lo scenario naturalistico è quindi particolarmente ombroso e fresco. Il rifugio ideale dall'afa estiva. La foresta, che ricopre un'area di circa diecimila ettari sul versante centro-orientale del Gargano, si estende sui territori dei comuni di Monte Sant'Angelo, Vieste, Vico del Gargano, Carpino e Peschici. Con il Monte Iacotenente, raggiunge il picco degli 830 metri di altitudine. Dal 7 luglio 2017 le sue faggete sono entrate a far parte del Patrimonio UNESCO. Il faggio è l'albero che più rappresenta la foresta. La singolare conformazione del Gargano e la sua posizione sull'Adriatico rende possibile la presenza di questa pianta, che solitamente cresce a più di 900 metri di altitudine, anche a bassa quota (circa 300 metri slm). Diffuso è anche il Tasso, detto "albero della morte". Da esso si ricava la tassina, veleno mortale che se ingerito blocca la respirazione. Leggenda vuole che fosse il veleno usato da Federico II per eliminare scomode amanti. Non manca il Pino d'Aleppo, l'albero del Mediterraneo grazie al quale nei secoli hanno preso forma i trabucchi della costa descritti nel viaggio-racconto sulla litoranea e da cui si estraeva la resina. Sapientemente distillata, la resina diventava pece, “pecola” per curare le ferite del bestiame, “canino” per lampade, acqua ragia e trementina. La raccolta della resina avveniva tramite un'accurata trama di incisioni “a spina di pesce” sulla corteccia dell'albero che facilitava deflusso e raccolta del prezioso liquido alla base del tronco, dove stazionava un piattello. Degna di nota anche la flora del sottobosco, impreziosita dalle orchidee del Gargano. Il terreno scuro e grasso nutre la foresta grazie al processo degenerativo della stessa vegetazione, favorito da organismi animali e vegetali quali larve e batteri, funghi e licheni. Non meravigli la presenza di alberi tagliati o caduti sul tappeto del bosco lasciati lì a marcire. Il tronco marcescente ospita una ricca varietà di insetti e altri invertebrati che diventa cibo prezioso per uccelli e rettili. Insomma una preziosa fonte di biodiversità dell'ecosistema. La fauna è molto variegata. Fra le specie animali sono senz'altro da menzionare il capriolo, il tasso, il cinghiale, il gatto selvatico, la volpe, faine e donnole. Tra gli uccelli, numerosi sono i rapaci sia diurni (sparviero, nibbio, poiana) che notturni (grande gufo reale, allocco, civetta e barbagianni). Poi picchi, capinere, merli. Su Wikipedia si certifica anche un grande ritorno: quello del lupo appenninico. Come si legge su https://it.wikipedia.org/wiki/Riserva_naturale_Foresta_Umbra, alcune fototrappole, messe nelle zone più interne della foresta ne hanno dimostrato la presenza. “Nelle foto scattate si intravede una coppia di lupi. La femmina, tra l'altro, ha le mammelle gonfie: segno che è nel periodo dell'allattamento e che sta allevando dei cuccioli”. Il lupo è stato recentemente fotografato e ripreso anche da alcuni lavoratori pendolari che attraversano il bosco tutto l'anno. Grazie alle misure di protezione ambientale attuate dallo Stato, quindi, questo animale torna a svolgere il suo prezioso ruolo di predatore al vertice della catena alimentare dell'ecosistema del Parco Nazionale. Ma non finisce qui. Alla Foresta Umbra ci sono anche i pesci. A due passi dal Comando della Forestale, oltre all'area protetta riservata ai daini e al parco tematico “Giocabosco”, c'è anche il Laghetto D'Umbra. Qui, grazie al divieto di pesca, proliferano una ricca varietà di pesci d'acqua dolce che condividono lo specchio d'acqua con alcune tartarughe. Sul vialetto d'accesso al laghetto alcuni produttori locali (pochi, ordinati e molto cortesi) propongono la degustazione di miele, biscotti e taralli tipici e la celebre “ostia ripiena”. Dolce tipico della tradizione gastronomica di Monte Sant'Angelo, l'ostia ripiena nasce in forza di un fatto assolutamente fortuito. Alcune monache clarisse sono intente a preparare nella cucina del monastero della Santissima Trinità delle mandorle caramellate. Non è certo se cadono casualmente delle ostie sulle mandorle o se le ostie servono per recuperare alcune mandorle andate fuori posto. Fatto sta che la fase di preparazione rende le mandorle appiccicose e incandescenti. In un caso o nell'altro le ostie si attaccano saldamente alle mandorle e non c'è più verso di separarle. A me piace pensare che due o tre mandorle caramellate finiscono fuori dalla padella. Bisogna recuperarle senza scottarsi. Occorre qualcosa che favorisca l'operazione. Lì vicino ci sono le ostie che le suore preparano per la celebrazione dell'Eucarestia. Una di loro ne prende istintivamente due. Immagino scelga quelle grandi, destinate alle mani del sacerdote, e recupera le mandorle. Il caramello che le ricopre aderisce prontamente alle ostie e non molla la presa. Le due cialde sono ormai un tutt'uno con cuore di mandorle caramellate. Buttarle è peccato e lei è la suora più golosa del convento, ma non ditelo in giro. Lo assaggia e spalanca gli occhi. Nasce così uno dei dolci più semplici e squisiti del Gargano.

A cura di Toni Augello