"CI VA IL TEMPO CHE CI VA SI', TUTTO IL TEMPO CHE CI VA"

“Nella modernità liquida il tempo non è né ciclico né lineare, come normalmente era nelle altre società della storia moderna e premoderna, ma invece “puntillistico”, ossia frammentato in una moltitudine di particelle separate, ciascuna ridotta ad un punto”
(Zygmunt Bauman)

Stiamo vivendo, dunque, secondo il sociologo Zygmunt Bauman, uno degli intellettuali più ascoltati nel nostro tempo, in un perpetuo e affannato presente, in cui tutto è lasciato all’esperienza del momento, e dove la perdita di senso del tempo si unisce all’annichilimento dei criteri di rilevanza che fanno distinguere l’essenziale dal superfluo, il durevole dall’effimero. 
Per questo, pur partendo da tematiche apparentemente più “leggere”, non finirò mai d’insistere sulla positività e sul valore aggiunto che il fattore tempo, il tempo che possiede una direzione, riesce ad imprimere alle cose, all’economia, al risparmio, alla vita delle persone, alle questioni che ci riguardano più profondamente e, nel caso in questione, persino ad un prodotto così complesso e naturale come il vino. 
Si tratta di un vino pensato e progettato con dei tempi lunghi, con dei “tempi biologici”, nella convinzione che il tempo sia un po’ come un “bambino che gioca” con sé stesso e, probabilmente, anche con il futuro.  E, proprio come accade nel gioco, il tempo scorre attivo e dinamico, contemporaneamente lento e veloce, creativo e, in diversi casi, anche ripetitivo. Il contrario della visione del tempo come “cultura dell’adesso”, del tempo “puntillistico” indicato da Bauman, di uno spazio frantumato in una moltitudine di pezzetti, governato dalla fretta e, quindi, “né ciclico e né lineare”.
Un disegno, questo, che potremmo ricercare nella natura, ma che si può incontrare anche nella quotidianità o, come nel nostro racconto, nella storia di un’ azienda vitivinicola nata più di 150 anni fa. Era, infatti, il 1857 quando, dopo un periodo di esilio forzato in Francia, la famiglia Bertani decise di fondare a Grezzana, vicino a Verona,  un’impresa basata sulla produzione di vino. Portavano con loro, rientrando in Italia, idee nuove per coltivare la vigna, per immaginare un vino di qualità, pensato soprattutto per la vendita e per il commercio internazionale. Un’autentica scommessa per quei tempi, un’innovazione strategica, diremmo oggi . Un originale sfida, dunque, che oltre alle specifiche problematiche agricole, portava con sé  il “mistero” della lunga conservazione del vino in bottiglia,  per essere trasportato nel mondo ed essere poi bevuto anche a distanza di anni. Per questo, era già sin d’allora chiaro alla famiglia Bertani, sulla scia dell’esperienza enologica d’oltralpe, che riuscire a invecchiare il vino avrebbe significato aumentarne il suo valore, non solo qualitativo e sensoriale, ma soprattutto economico e commerciale. Il tempo, perciò, come valore aggiunto che, unito alla ricerca, alla sperimentazione, al rischio e a una buona dose di saggezza contadina, ha permesso sino ad oggi alla Bertani di farsi conoscere in tutto il mondo attraverso la qualità dei suoi vini, ma anche rimanendo fedele a sé stessa negli anni, con coerenza e con una visione della propria identità dinamica e contemporanea. Inizialmente i vini prodotti furono il Soave, il Recioto, il Valpolicella, per arrivare al mitico Secco Bertani, l’ etichetta ancora oggi più rappresentativa di casa Bertani. Ma, come spiega Emilio Pedron, uno degli uomini del vino più autorevoli d’Italia, presidente e amministratore delegato della Bertani (recentemente acquisita dal gruppo Tenimenti Angelini), < il progetto più ambizioso dell’Azienda fu quello di realizzare un Amarone in grado di conservare per decine di anni le sue migliori intrinseche qualità sensoriali, fuori dalla logica dei numeri e delle mode, in favore della qualità globale, di uno stile molto personale e riconoscibile>. Ottenuto da uve Corvina, Rondinella e Molinara attraverso un accurato e paziente processo di appassimento dei grappoli, l’Amarone Classico Bertani  dopo la vinificazione passa almeno 5 anni a riposare in botti di rovere, per poi essere imbottigliato e rimanere altri 12 mesi ad affinarsi in bottiglia. Inizia qui, dopo ben 6 anni, il “lento futuro” e il percorso di ogni bottiglia di questo singolare prototipo di “vino slow”. Una sorta di “fanciullo” che continuerà a rimanere tale, a giocare, per 10, 20, e più anni, con la possibilità di dare emozioni molto forti anche con bottiglie stappate a distanza di 35/40 anni dalla loro produzione. Incredibile, ma vero, dimostrabile e, soprattutto, degustabile. Un esempio, se vogliamo, di superamento pragmatico delle “cose” concepite  e realizzate con il ritmo e le modalità del tempo “puntillistico”, della “tirannide del momento”, di un vino fatto per essere consumato subito, di facilissima comprensione, privato dell’anima e dello spirito del tempo.
Non è una cosa superflua una bottiglia di Amarone Bertani del 1975, un’annata leggendaria, che ho avuto la fortuna di assaggiare, nel suo lineare e ciclico rapporto con il tempo. 
E’ un’esperienza che porta con sé criteri di rilevanza che t’insegnano a distinguere “l’essenziale dal superfluo” e, in particolare, “il durevole dall’effimero”.
In questi casi, ma io credo dovrebbe accadere ogni volta che si degusta una grande etichetta, bisogna lasciare che sia il vino, e non il degustatore, a narrare la sua variegata identità. Se ascoltata con la giusta attenzione, in sintonia e armonia di pensiero, in una bottiglia come questa, si possono cogliere le storie, la terra, gli umori, i profumi e i sapori che solo la complessità del tempo riesce a generare.

Tratto dalla Rubrica FILL THE GAP di Swiss & Global Asset Management Italia

A cura di Giacomo Mojoli