"CIO' CHE ERA SUPERATO IN REALTA' COSTITUIVA IL FUTURO DELLA RISTORAZIONE"
Per ognuno di noi esiste un percorso. Alcuni lo seguono così come gli si presenta, altri cercano di cambiarlo o migliorarlo.
Quello del nostro amico Pietro Zito è un viaggio ricco ed emozionante, fatto di esperienze sensoriali, di ricerca della materia prima e di tanta cultura sociale che lo ha portato a diventare “il cuoco contadino” che oggi tutti conosciamo.
Pietro, infatti, non ama definirsi uno chef e, molto più “semplicemente”, con elegante modestia dice di sé: ‘Sono un uomo di cucina che deve tutto alla “terra”. Tutta la sua filosofia professionale è racchiusa in questa frase che sintetizza come, in un Ristorante come il suo, immerso nelle distese pietrose dell’Alta Murgia, in un piccolo borgo come Montegrosso, si possa ritrovare il profumo e l’atmosfera genuina di un paesaggio semplice, di una bella famiglia e di tanti suggestivi ricordi.
Non a caso, come Pietro racconta, Antichi Sapori non è un semplice Ristorante, ma è soprattutto un modo di essere e di ascoltare il mondo. Mangiare qui non è solo un’esperienza gustativa, rappresenta vivere, attraverso la preparazione dei suoi piatti, il racconto di una storia, che conserva intatto il calore di una casa e l’amore per la tradizione.
Pietro Zito da circa 25 anni interpreta la cucina di territorio e, la sua intuizione, lo ha portato nel tempo ad essere considerato un riferimento sicuro, fino a farlo entrare nel ghota della cucina italiana, restando sempre fedele alle sue radici contadine. Si definisce, senza retorica, un cuoco contadino e un oste; ed è proprio questo suo modo di essere e di pensare la cucina che lo ha portato vicino ai grandi “chef” stellati, al mondo dell’alta gastronomia. Tant’è che nell’ambiente è considerato un cuoco innovativo perché ha messo al centro del suo progetto la stagionalità, con il suo dinamico e reale orto di circa 2 ettari.
Iniziamo la nostra chiacchierata con Pietro proprio partendo dalla data del 15 Marzo che lo ha visto protagonista, insieme ad numero ristretto (16) di importanti chef italiani, della Cerimonia per la firma del Protocollo d’Intesa per la Valorizzazione all’Estero della Cucina Italiana di Alta Qualità presso la Farnesina in qualità di ambasciatore.
• Spiegaci il tuo concetto di “Internazionalizzazione del Gusto” e raccontaci il tuo entusiasmo per questa idea.
L'evento fa parte di una serie di iniziative attuate con il Ministero dell’Agricoltura e con quello agli Esteri allo scopo di garantire la qualità dei prodotti Made in Italy. A noi professionisti del settore è capitato più volte, purtroppo, di andare all'estero e trovare prodotti di non eccelsa qualità, per cui siamo stati chiamati dalle istituzioni ad essere testimoni e garanti di tutto ciò che all'estero deve rappresentare la qualità e l'eccellenza dei nostri territori. Chi meglio di noi può valorizzarli e farli capire? Tra l'altro già in occasione di Expo 2015, il Ministro alle Risorse Agroalimentari, Martina, ci aveva interpellati per essere in un prossimo futuro i portavoce del Made in Italy "ufficiale" all'estero.
• Nella tua esperienza, sei stato chiamato a cucinare in numerosi posti, quali ti sono rimasti più impressi.
Si ho viaggiato tantissimo, essenzialmente per lavoro. Le istituzioni locali, mi hanno chiamato molto spesso come ambasciatore di una cucina semplice, buona ed essenziale. Questo mi ha portato negli anni in posti come Disneyland, Orlando, Los Angeles, Tokyo, Hong Kong o New York solo per citarne alcuni. Dovunque ho constatato che piatti come il pancotto con le cime di rape o le orecchiette fatte al momento, che per noi sono semplici, ripetitivi o scontati, per gli altri sono speciali. Ed è il concetto che, tuttora, cerco di portare avanti qui nel mio ristorante.
• La cucina è storia, cultura e tradizione. Quanto c’è nel tuo ristorante della cucina di tua mamma e come ti hanno influenzato i tuoi genitori?
La decisione di aprire Antichi Sapori nel ’92 è scaturita da un episodio nell’86, anno in cui lavoravo nel Ristorante “Osteria da Federico”, nel quale cucinai un pranzo “particolare” per alcuni dirigenti provenienti da tutta Italia. Avevano voglia di assaggiare qualcosa di tipico ed io preparai per loro un menu composto dalle nostre ricette più tradizionali. I miei colleghi cuochi mi diedero del pazzo sostenendo che non potessi preparare ricette “povere” per gente importante che arrivava da lontano. Ma quel pranzo ebbe talmente successo che presto si sparse la voce e tanti altri arrivarono ansiosi di assaggiare quel menu. Lo intitolai “Antichi Sapori”. Si capì che ciò che era superato in realtà costituiva il futuro della ristorazione.
Ricordo anche una cena di circa 15 anni fa, organizzata qui da me insieme a Michele Bruno, per ospitare tutti i dirigenti di Slow Food. Con mia mamma decidemmo di preparare un piatto che rappresentasse la nostra storia di povertà, l’asfodelo al forno, un’erba spontanea che cresce nei primi di febbraio e che anticamente si utilizzava molto. Mia mamma Concetta e mio papà Francesco lo pulirono con le loro mani e non dimenticherò mai la loro commozione quando constatammo che piacque molto e tutti fecero la “scarpetta”. Un altro episodio che ricordo è il pranzo per il nostro primo cliente, il Conte Spagnoletti, il primo Novembre 1992, giorno di apertura di Antichi Sapori. Il menu del giorno prevedeva tre piatti: un ragù, una zuppa di legumi e una pasta con i funghi, ma lui ci chiese qualcos’altro, di diverso. Allora gli proposi le orecchiette con la rucola (che mi sembrava il più banale). Accettò. Mio padre quella sera andò con la torcia tascabile a raccogliere la rucola spontanea fuori dal ristorante e mia madre si mise a fare, lì per lì, le orecchiette fresche. E fu allora che realizzai che ciò che poteva sembrare banale sarebbe stato il futuro della mia ristorazione.
Tutto questo serve a comprendere, come, le mie origini contadine ma anche tutti i sapori ed i profumi che ho ancora nella mente, abbiano influito tantissimo nel mio lavoro e non mi hanno mai abbandonato e questo cerco di trasmetterlo ai miei collaboratori, spiegando loro che la materia prima va rispettata, mai stravolta, per conservare il suo sapore primordiale.
Un altro grande esempio di autenticità per me è stato anche mio zio, con la sua frittata di sponsale con le uova fresche. Contadino anche lui, abitava proprio qui di fronte al ristorante e riusciva ad attirare gente da tutta Italia, perché come la preparava lui a me non riusciva. Ho cercato più volte di imitarla, con le stesse uova, ma sempre senza successo… sarà stata la sua stufa a legna o il tegame in ferro, o il suo amore… E’ inutile, non bisogna fare cose difficili per emozionare, la semplicità funziona sempre.
Ferran Adrià, uno dei più bravi cuochi al mondo, dopo esser stato da me a mangiare ha scritto nel suo libro che “da Pietro trovo la medicina della mia pancia”, perché diceva di guarire con le mie insalate e le mie erbe.
• Chi sono i tuoi clienti e cosa amano di più della tua cucina?
In questo periodo dell’anno la maggior parte dell'utenza, è straniera. In questi giorni mi è capitato di ospitare due americani, li ho portati in giro con me, per farli vivere un’esperienza diretta, in un salumificio a Venosa e in un caseificio nella zona di Minervino, sono rimasti affascinati che lungo il percorso mi sia fermato a raccogliere l'asparago o la rucola, e che mi sia recato da alcuni amici contadini. Abbiamo bevuto ed assaggiato dei dolcetti insieme. Non avevano ancora pranzato e già erano contentissimi. Questo mi conferma ulteriormente di come la semplicità e la quotidianità possano emozionare. Per questo mi piace rendere i miei ospiti partecipi, portarli nell’orto a raccogliere le verdure o gli ortaggi di stagione per poi cucinarli al momento. È talmente bella questa esperienza per i clienti che dopo essersi impregnate le mani del profumo di erbe aromatiche non le vorrebbero lavare più. Questo è il mio modo di comunicare ed è per questo che non voglio essere chiamato chef... potrebbero offendersi i veri chef!
A volte i miei clienti fanno tanta strada per mangiare semplicemente il mio pane caldo con l’olio e ritrovare l’autenticità e soprattutto il rispetto per i sapori semplici, temi su cui ho scritto molto e da cui non posso discostarmi. La cucina di casa è per tutti. E a questo proposito voglio ricordare che tra le cose più belle che mi sia capitato, c’è la partecipazione alla stesura della Carta di Milano, in occasione di Expo 2015, con cui si sono gettate le basi per il futuro del cibo nel mondo.
Essa è stata sottoscritta da tutti gli stati componenti dell’ONU e con mia grandissima soddisfazione è stato proprio il concetto da me proposto ad essere scelto tra tutti i 16 componenti del Tavolo della Ristorazione, tra cui nomi del prestigio di Carlo Cracco, Massimo Bottura ed altri.
Il mio pensiero è quello di un cuoco contadino che si rende testimone ed ha totale rispetto di chi produce onestamente ed offre ai produttori tutta la riconoscenza e la promozione economica e mediatica senza le quali non farebbero più il loro lavoro e di conseguenza noi non avremmo più buoni prodotti da offrire.
• Quando non sei in giro, a casa tua chi cucina e qual’è il piatto di Raffaella, tua moglie, che preferisci?
Mia moglie è molto brava nel fare le focacce e le pizze, le adoro. Quando sono in giro rimpiango il momento in cui, a casa mia, mi siedo a tavola per riposare.
Ma a Pietro piace, anche tornare a casa di sua mamma, dove ritrova i profumi della sua infanzia - Lei mi conosce bene e mi prende per la gola. Un giorno mi chiese di rimetterle in casa la cucina a legna, meglio conosciuta come “cucina economica”, e tutt’ora cucina lì.
Mi fido talmente di mia madre che nei periodi di caos al ristorante, mando gli stagisti, quelli più inesperti, a cucinare con lei. Una volta un ragazzo americano rimase contrariato per le due ore di tempo “perse” a tavola solo per pranzare. L’ho rivisto dopo tanti anni, chiedendogli cosa, della sua esperienza in Italia, gli fosse rimasto più impresso e lui ha proprio riconosciuto il piacere di sedersi a tavola per mangiare. Quello che inizialmente può sembrare una pazzìa in realtà è il senso della vita: il tempo trascorso a tavola, il piacere di stare insieme e di conversare, mio padre che mette il vino a tavola con il tovagliolo sotto per non sporcare la tovaglia… cosa c’è di più bello? E’ un premio al nostro lavoro, se ci togliessimo questo piacere vivremmo di stereotipi.
• Cosa mangia tua figlia?
Mia figlia Edda è molto vispa ed ama la terra! Lei la pensa come me e adora la pasta al pomodoro. La scorsa estate, eravamo nel Salento, di ritorno dal mare, avevamo fame, cosi ci comprammo mezzo chilo di ruote pazze di Benedetto Cavalieri, del pomodoro fresco e ci mettemmo a cucinare. Dopo aver mangiato mezzo chilo di pasta al pomodoro in due, eravamo sfiniti ma molto soddisfatti.
• La tua cucina è definita semplice ma quanto lavoro c’è dietro?
Oggi è lunedì, giorno di chiusura, ma in realtà per noi è il giorno di preparazione per l’intera settimana, perché raccogliamo le verdure, puliamo i carciofi, i piselli… Tutta la semplicità di cui ti ho parlato mi comporta ben sei persone in cucina, per soli 30 posti a sedere. Anche fare la semplice insalata con le erbe spontanee per me non significa comprala e lavarla, ma raccogliere e pulire la rucola, il papavero, la borragine… tutto lavoro manuale che fa lievitare il costo del personale per la preparazione. E ancora, quella semplicità comporta due persone fisse nell’orto, che seminano, zappano e raccolgono. Ecco perché la mia pasta al pomodoro la chiamo “piatto semplice ma difficile”, proprio perché dietro quella preparazione c’è un percorso, una storia che va raccontata, altrimenti si sminuisce tutto il mio lavoro. Ma è vero anche che questa semplicità dopo 24 anni fa sì che il mio ristorante sia ancora pieno.
• Ci puoi dire i nomi dei tuoi collaboratori?
Ormai siamo come una famiglia e sono tutti ragazzi in gamba: un ragazzo di 50 anni, Ilir, di origini albanesi, che ho con me dal ’94 e che si occupa magistralmente della pasticceria; Gigi al lavaggio piatti, anche lui con me da diversi anni, e poi: Luca ai primi, Nicola agli antipasti, Marcello ai secondi. In sala Marina, Franco e Michele. Poi ci sono gli stagisti che danno una mano.
• Materie prime eccellenti e stagionali, aromi e verdure del tuo orto ma a parte gli ingredienti cosa non deve mai mancare nella tua cucina?
Non potrei cucinare senza un ottimo olio extravergine, soprattutto della mia zona. E’ un elemento cardine della mia cucina e sono molto pignolo nella scelta. Vado direttamente al frantoio per degustarlo, prima di sceglierlo, assisto all’imbottigliamento, anche e soprattutto per mandarlo a Tokyo dove ho un clone del mio ristorante.
• Ci racconti del tuo ristorante in Giappone?
E’ la mia compartecipazione al clone di “Antichi Sapori” a Tokyo. Si tratta di una multinazionale che possiede già tanti ristoranti italiani, però quasi tutti concentrati sulla cucina del Nord Italia. Nel 2012 mi hanno proposto di rappresentare il sud Italia, isole comprese, con la mia cucina. Per loro sono garante dei prodotti che arrivano dalla Puglia, sia per qualità che per prezzo.
• Qual’è il tuo chef/cuoco preferito? Perché? E senza offendere nessuno dove ti piace andare a mangiare?
Li conosco e li rispetto un po’ tutti. Ma ti confido che Carlo Cracco, al contrario delle apparenze, è una persona molto semplice ed umile che non ha mai perso la sua identità ed integrità, anche dopo tanta tv. Ti accoglie sempre con un abbraccio, parla poco e cucina bene. Io sono molto legato anche a Fabio Pisani, del ristorante “il Luogo di Aimo e Nadia” … quest’ultimo continua a lavorare con il mio pomodorino al filo, il peperoncino, le mie cicoriette, perché nonostante lui sia a Milano a lavorare il suo cuore è rimasto in Puglia. Credo comunque che i posti più amati siano sempre associati alle persone care, ai luoghi, agli amici che ti fanno sentire bene.
• Puglia a parte, quale cucina regionale apprezzi di più?
La cucina siciliana. C’è il sole nei loro piatti. Mi piace, il loro piccante, il loro pomodoro, la loro melanzana e anche il loro modo di servire il pesce con preparazioni molto semplici. Pino Cuttaia, grande cuoco del ristorante “La Madia” di Ragusa, per esempio ha grande rispetto dei prodotti locali coniugando tradizione e semplicità. Oppure Corrado Assenza, altro noto pasticcere, grande conoscitore delle materie prime, abile nel riproporne i sentori gustativi senza snaturarli. Credo che la Sicilia abbia tutto per essere una meta gastronomica di primo livello.
• Pietro, ti è mai capitato di mangiare in altri ristoranti un piatto identico al tuo? Hai mai pensato di registrare una tua ricetta?
Sì mi è capitato, ma questo non deve spaventare, piuttosto dare gioia. Tanti miei ragazzi stagisti hanno attinto dalla mia cucina e riproposto i miei piatti. Nel 2012 per esempio ho avuto 4 cuochi che dopo un po’ di anni hanno aperto la loro Osteria, dove si percepisce la formazione presso la mia cucina. C’è comunque da dire che alcuni piatti, come la cassata o le orecchiette con la purea di fave, sono riconducibili ad un luogo e ad una data per cui hanno ragione di esistere, al di là di chi la esegue: la cassata nel 1993 e le orecchiette al Salone del Gusto del 2000. La cucina è anche questo, imitare e riproporre i piatti. L’importante è farli bene.
• Tu partecipi da diversi anni al Mercatino del Gusto di Maglie. Come mai?
E’ una delle manifestazioni più riuscite ed importanti per il movimento gastronomico che ci gira intorno. E’ stato molto copiato ultimamente e dunque credo che abbia solo bisogno di rinnovarsi nella forma per essere al passo con i nuovi consumatori. Il Mercatino del Gusto per me è stato un ottimo trampolino di lancio e ci torno sempre con piacere. E’ come andare in vacanza, un appuntamento fisso in cui ci si rivede con gli amici. E poi andare a cucinare in villa mi emoziona ancora molto, nulla è scontato ed ogni anno riesco a trovare nuovi stimoli.
• Qual’è il tuo sogno nel cassetto?
Ho già scritto due righe su questo argomento. Sogno di potermi distaccare un po’ dalla figura del ristoratore per diventare custode di un patrimonio culinario e di sapienza contadina. Come tutti, ad una certa età, con calma ed eleganza vorrei allontanarmi dai fornelli e divenire testimone di un periodo. Ci sono dei ragazzi più giovani e ambiziosi di me, è giusto dare spazio a loro. Inoltre vorrei vivere più a contatto con il sociale, continuare a seguire le Onlus in Africa, curare al meglio l’orto e magari portare in giro gli ospiti, come i due americani di questa settimana, gratificando sia loro che me stesso.
• Oltre ad impegnarti x il sociale, cosa ti piace fare?
Ascoltare musica, prevalentemente i cantautori italiani. L’altra mia passione è andare al cinema, l’unico posto dove riesco veramente a rilassarmi.
A seguire il menu primaverile di Antichi Sapori.
ANTICI SAPORI
Piazza Sant'Isidoro, 10
Montegrosso/Andria (bt) Italy
www.antichisapori.biz
A cura di Michele Bruno e Annarita Randino